Quanto costa ad una mamma lasciare il lavoro per accudire i figli?

Buongiorno care NateLibere, oggi approfondisco un argomento “scottante”: la scelta di uscire dal mondo del lavoro per accudire i propri figli. 

 

Diciamo che il mio primo errore potrebbe essere l’uso della parola “scelta” perché spesso è una scelta obbligata dal fatto di non poter contare su nessun supporto famigliare o nei casi in cui si conviva con la disabilità di un figlio. 

 

Il sistema di welfare e assistenza del nostro paese conta molto sul fatto che, dove non arrivano i servizi pubblici, arrivi la rete famigliare a colmare le necessità e i bisogni soprattutto di due categorie di persone fragili: i bambini che non possono accedere alla scuola dell’infanzia e gli anziani non autosufficienti. 

 

È inutile che vi riporti noiosi numeri e statistiche per provarvi che la maggior parte delle volte questi compiti di assistenza ricadono sulle donne, lo vedete e vivete quotidianamente. Tant’è che quante donne lasciano il lavoro dopo la nascita del primo figlio? 

 

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha pubblicato i dati del 2020 e sono veramente scioccanti: tre donne su quattro lasciano il lavoro per la cura dei figli. 

 

Ma perché così tante donne lasciano il mondo del lavoro, rinunciando di conseguenza anche alla possibilità di rendersi economicamente indipendenti? 

 

Sempre lo stesso rapporto dell’INL riporta che le cause principali sono 3: 

 

Della prima ne abbiamo già parlato: “culturalmente” i ruoli di cura spettano alle donne. Come scusa si usa il semplice fatto che lo stipendio della donna non è il principale, ma solo di “supporto” al reddito famigliare e quindi quello a cui si può rinunciare con meno fatica ( solo scrivendole queste cose ho un inizio di orticaria…); 

 

Il secondo motivo dipende dalla mancanza di strutture e servizi dedicati all’infanzia e quindi per una mamma è difficile conciliare lavoro e famiglia. A chi lascio il mio bambino? Sappiamo infatti che le liste di attesa degli asili nidi sono lunghissime; 

 

Abbiamo un grosso problema di differenze territoriali nel nostro Paese perché in Meridione le donne che lasciano il lavoro dopo la maternità sono il 93%; nel centro Italia sono l’83% mentre nel settentrione sono il 72%. 

 

La mia esperienza però mi porta a dire che questo fenomeno di massa, che porta le donne a lasciare il lavoro, dipende da un altro fattore molto diffuso: la mancanza di consapevolezza sul costo economico di tale “sacrificio”

 

Quindi se anche tu stai pensando a lasciare il mondo del lavoro per accudire tuo figlio prima leggi quello che ho da dirti nei prossimi paragrafi, la sorpresa è assicurata! 

 

Durante i miei colloqui di consulenza chiedo sempre come mai una donna ha deciso di lasciare il lavoro e 8 volte su 10 la risposta è: “mi conveniva rinunciare allo stipendio piuttosto che pagare asilo nido, baby sitter e benzina per andare avanti e indietro dal posto di lavoro”. 

 

Se anche tu stai facendo questo ragionamento per decidere cosa fare della tua vita sappi che stai facendo i conti sbagliati. E’ un ragionamento sicuramente vero ma è anche tanto superficiale perché non tiene conto di una serie di gravi conseguenze economiche che si aggiungono alla mera rinuncia del tuo stipendio come ad esempio: il blocco della crescita salariale, il blocco dell’avanzamento di carriera e la conseguente riduzione dei contributi pensionistici accantonati. 

 

Come si fa a calcolare quanto costa rinunciare al lavoro? 

 

Per fortuna c’è chi ha fatto questo conto al posto nostro e il risultato è sbalorditivo per chi pensa di rimetterci solo qualche stipendio. 

 

PROGETICA, società indipendente di consulenza specializzata nelle tematiche di welfare ed educazione finanziaria ha stimato il caso di una donna di 31 anni che interrompe la propria attività lavorativa per tre anni, ovvero l’età di ingresso dei bambini alla scuola dell’infanzia. A fine carriera lavorativa questa “pausa” causa un minore reddito complessivo pari a € 165.000! Ma non è finita qui, ovviamente voi che seguite NataLibera, sapete che a minor stipendio corrispondono minori contributi previdenziali e quindi l’effetto sarà anche quello di rinunciare a € 70.000 di pensione. Il conto totale è quindi di circa € 235.000… un po’ più di € 800 di stipendio per 36 mesi di assenza vero? 

 

Lungi da me tifare per donne che riescono a conciliare famiglia e lavoro, il mio obiettivo è sempre e solo quello di rendere ogni scelta “consapevole”. È corretto che una donna e il proprio marito o compagno siano consapevoli di come incide la scelta di smettere di lavorare all’interno del bilancio famigliare. È corretto saperlo per prendere una decisione ponderata, che non porti a dei rimpianti in futuro e che non faccia diventare le donne, ancora una volta, “vittime ingenue del sistema culturale”. 

 

Per decidere bisogna sapere con lucidità cosa implicano le varie scelte che ho! 

 

Lo scopo di NataLibera è fare in modo che più soldi rimangano in mano alle donne, ma non perché siamo femministe, quanto piuttosto perché crediamo che tutta la nostra società può beneficiare in termine di ricchezza sociale ed economica, se raggiungiamo l’uguaglianza tra le persone. 

 

Spesso quelli più scioccati da questo conteggio, sono proprio i mariti, che quando quantificano numericamente tale scelta si rendono conto di quale sacrificio sia per una donna dedicarsi alla crescita dei propri figli. 

 

Il raggiungimento di questa consapevolezza mi permette di far capire l’importanza di dover inserire alcuni accorgimenti nella pianificazione finanziaria delle famiglie. 

 

Se non si tratta solo di qualche migliaio di euro ma di qualche centinaio, come possiamo prevedere una rete di tutela per le donne che fanno questa scelta? 

 

Ecco di seguito alcune azioni da mettere in atto: 

 

– valutare se rinegoziare la durata dei mutui in essere per abbassare la rata; 

 

-rifare il budget famigliare togliendo le spese relative al lavoro (macchina, benzina, abiti, pasti fuori casa, colf…) e prevedere le spese per il mantenimento della nascitura/o; 

 

– stabilire una compensazione al sacrificio, prevedendo che una volta tolte le spese, il reddito rimanente venga condiviso egualmente tra moglie e marito. Chiarisco se l’unico stipendio arriverà nel conto di mio marito, e una volta tolte le spese famigliari e obbligatorie rimarranno per esempio € 300, la metà di questi e quindi € 150 possono essere trasferiti nel conto personale della mamma, in modo che possa mantenere la possibilità di fare qualche spesa per se stessa senza dover chiedere ogni volta; 

 

aumentare il versamento al fondo pensione della mamma per compensare i minori contributi inps. Lo so che non avendo reddito non potrà dedurli, non importa, qui non stiamo lavorando per guadagnarci, stiamo lavorando per mantenere tutele (se poi il marito non versa già il massimo deducibile al proprio fondo può beneficiare di ciò che versa per le persone a carico); 

 

-aumentare il massimale della polizza caso morte di papà; essendo infatti l’unico portatore di reddito dobbiamo considerare che se gli succede qualcosa la famiglia abbia bisogno di un capitale necessario a far vivere la sua famiglia e a dare il tempo alla mamma di poter reinserirsi nel mondo del lavoro; 

 

– mantenere la polizza caso morte della mamma, perché anche se dovesse mancare lei i conti della famiglia non starebbero in piedi. Chi si occuperebbe dei bambini e della casa? Bisogna lasciare la possibilità al papà di continuare a lavorare e di poter sostenere le “spese di cura” fino a quel momento coperte dalla mamma; 

 

– ogni mamma dovrà rivedere il proprio piano degli investimenti, decidendo a quali progetti dare nuova priorità e quali mettere da parte; sarà inoltre opportuno rivedere il profilo di rischio dei propri investimenti cercando di sfruttare il più possibile ciò che i mercati potranno darci nel lungo periodo per colmare in parte il reddito in meno percepito. 

 

Quindi non è giusto o sbagliato decidere di lasciare il lavoro per seguire i propri figli, ognuna di voi ha le sue importanti motivazioni, quello che mi premeva però è di farvi approfondire un ragionamento che troppo spesso viene semplificato e dato per scontato. 

 

A presto.