Accumulazione e autonomia finanziaria – Nata Libera Podcast

Accumulazione e autonomia finanziaria – Nata Libera Podcast

A partire da oggi e nel prosieguo del podcast, noterete che le puntate seguiranno due filoni principali: una parte dove vi do delle conoscenze specifiche di terminologie e di strumenti finanziari, e una seconda parte invece dove entriamo nel merito di quelli che dovrebbero essere gli obiettivi finanziari e di vita di una Nata Libera.

Iniziamo quindi con l’argomento che tratteremo oggi: A, come Accumulazione e Autonomia.

Accumulazione

Accumulazione è una parola che deriva dal latino accumulatio e consiste proprio nell’atto di mettere insieme più oggetti creando un cumulo. Ma come si fa ad accumulare i propri risparmi?

Ci sono degli strumenti appositi che servono proprio a fare questo, a mettere da parte periodicamente una piccola quantità di denaro all’interno di un investimento.

Questi strumenti si chiamano piani di accumulo di capitale. Ma cosa sono nello specifico? Sono dei versamenti periodici che ognuno di noi può decidere di fare su un determinata tipologia di investimento, soprattutto fondi comuni di investimento. Questa tipologia di strumento finanziario nasce ancora dall’idea di Benjamin Graham, il padre ispiratore dei grandi investitori della seconda metà del Novecento, e nasce quindi negli anni ‘50 e prevedeva l’importanza di procedere con investimenti ad intervalli temporali regolari della stessa somma di denaro per acquistare, ai suoi tempi, azioni, perché i fondi comuni ancora non esistevano. Quindi come funzionano? Ognuno di noi può stabilire che tutti i mesi, ogni trimestre, ogni semestre, con la periodicità che preferiamo, una somma venga presa, prelevata automaticamente dal nostro conto corrente e venga usata per acquistare quote di un pezzetto di investimento.

Perché sono consigliabili questi piani di accumulo? Per sei motivi.

Prima di tutto perché ci permettono di raggiungere con un piccolo sforzo mensile o comunque periodico, obiettivi che altrimenti sarebbero irraggiungibili da realizzare. In più, ci possono aiutare a contrastare quella preoccupazione legata alla mancanza di sicurezza economica. Possiamo infatti usare questi piani di accumulo per crearci pian pianino un nostro fondo di sicurezza per le emergenze. È assolutamente poi consigliato perché anche versando solamente 100€ al mese per dieci anni, significa che fra dieci anni saremo sicuramente più ricchi perché avremo, oltre ai 12.000€ di capitale che abbiamo messo da parte, anche tutti gli interessi che man mano questo investimento avrà creato e messo da parte. Viene molto utilizzato e io lo utilizzo moltissimo anche quando qualcuno di voi viene a dirmi “io non riesco a risparmiare, arrivo sempre alla fine del mese che nel conto corrente ho zero”. Ecco, il piano di accumulo è proprio uno strumento che noi consulenti utilizziamo per risolvere anche questo problema della spesa.

A cosa serve anche? Serve anche per eliminare la stagionalità dell’investimento. Noi sappiamo che ci sono tipologie di investimenti che subiscono delle oscillazioni nell’arco del tempo. Il fatto di comprare questi investimenti a piccoli pezzi di mese in mese ci consente di mediare un po’ questa oscillazione.

Altra motivazione non meno importante, questo tipo di investimento ci aiuta a non cadere nella trappola dell’emotività. Che cosa significa? Molto spesso alcune di voi mi fanno la domanda ma quand’è il momento giusto per investire? Ecco allora il piano di accumulo.

Uno degli usi più frequenti che io faccio nel mio metodo Nata libera di questi piani di accumulo è proprio quello di avere le risorse che mi permettono di costruire un ponte tra la mia situazione finanziaria odierna e i miei obiettivi futuri.

Ma quanto potete versare? Ogni piano di accumulo, ogni società di investimento ha le sue regole. Ma in generale potete pensare di poter iniziare un piano di accumulo versando 100€ al mese. Ci sono poi delle società che, come primo versamento vi chiederanno di anticipare due rate quattro rate in dodici rate. Ma lì c’è un’ampia scelta.

Quanto può durare questo piano di accumulo? Il piano di accumulo può durare all’infinito. In realtà, per esempio, la maggior parte dei versamenti che io strutturo con le mie clienti sui fondi pensioni non sono altro che piani di accumulo quarantennale.

Autonomia

 L’altro giorno con mia figlia abbiamo ricordato un episodio che spesso viene riportato nei giornali. L’episodio in cui Cher un giorno stava chiacchierando con la madre che le ha detto “Mi raccomando, sposati un uomo ricco”. E Cher ha risposto a sua madre “Mamma, l’uomo ricco sono io”. Il percorso per molte per arrivare non dico alla ricchezza ma alla propria autonomia è ancora molto lungo e ripido. Per prendere in mano la propria autonomia finanziaria e la propria autodeterminazione economica, il viaggio da percorrere è veramente ancora zeppo di stereotipi, anche se siamo nel 2022 questi stereotipi continuano a ostacolare e a metterci i bastoni fra le ruote. La propensione ad occuparsi di finanza da parte delle donne è ancora molto bassa e questa bassa predisposizione, trasversale tra le diverse generazioni, sicuramente è più evidente tra le 40-50enni. Ma siccome queste, in questa fase di età, molto spesso sono mamme, è chiaro che questo stereotipo è facilmente poi trasmesso anche alle figlie, ai figli e in generale alle generazioni più giovani.

Non dimentichiamoci però quanto è importante essere economicamente autonomi e indipendenti. Non possiamo non ricordare che molte forme di violenza sulle donne trovano il loro concime proprio sull’impossibilità di essere e di vivere autonomamente. È quindi necessario che cambiamo proprio la narrativa dedicata alle donne sul denaro e ribadire che non esiste assolutamente una libertà senza una corrispondente autonomia finanziaria.

Spesso, infatti, siamo portati per una bieca cultura che deriva da millenni, ad associare il denaro a valori che sono negativi, che sono immorali. Ma in realtà il denaro non è altro che un mezzo che ci serve per raggiungere i nostri obiettivi. Ma quali sono i condizionamenti che ancora oggi ci allontanano dalla nostra autonomia economica? Il primo è la frase tanto non ci capisco nulla di soldi e di banca. Allora facciamo un po’ di nomenclatura, un po’ di traduzione. Economia deriva dal greco e significa gestione della casa. Finanza non è altro che l’insieme delle risorse di cui disponiamo. Quindi, proprio se vogliamo usare proprio gli stereotipi stessi, pare che non ci sia un mondo migliore per noi donne. Proprio quello del denaro.

Inoltre, diciamo che anche le statistiche ci dimostrano e ci dicono quotidianamente in tutti i giornali, in tutti i media, che noi donne siamo più lungimiranti. Ma siamo anche più longeve. Quindi è vero, siamo più brave con la lungimiranza, ma abbiamo anche più bisogno di denaro perché viviamo più a lungo.

Abbiamo un istinto protettivo, quindi siamo meno portate a subire delle truffe o dei danni. Abbiamo sicuramente un maggior senso di progettualità e quindi siamo proprio perfette per la pianificazione finanziaria.

Un altro condizionamento e stereotipo è quello di pensare e dire che le donne sono spendaccione e anche un po’ svampita, mentre dall’altra parte i maschietti sono ritenuti degli investitori esperti. Il problema, quindi, è sempre quello. Il problema è se spendiamo 200€ per un paio di scarpe, mentre magari i nostri compagni, i nostri mariti o maschietti in genere spendono qualche decina di migliaia di euro per l’ultimo modello della macchina che esce sul mercato. Ne hai voglia di scarpe per farti la macchina?

Un terzo stereotipo è quello che vuole vedere le donne come particolarmente insicure e quindi avverse a qualsiasi rischio. La conseguenza di questo stereotipo è che le donne effettivamente sembrano meno portate ad accettare le oscillazioni dei mercati degli investimenti e tendono quindi a tenere una quantità di denaro molto importante, ferma sui conti correnti. In Italia il 50% delle donne non ha mai fatto un investimento e questo è proprio dovuto alla mancanza di autonomia, perché percepiamo il futuro come ignoto e abbiamo la sensazione di essere sempre in una condizione di pericolo perenne. Ecco, un altro obiettivo importante che io vi consiglio di trattare insieme alla vostra consulente finanziaria, è sicuramente quello di imparare a gestire meglio la paura.

E come si fa? Preparando un fondo per le emergenze, seeconda soluzione è pensare di sottoscrivere alcune coperture assicurative che possono sicuramente aiutarci a toglierci dei rischi anche importanti.

È chiaro che la condizione necessaria per rendersi autonome è percepire un reddito oppure delle rendite, reddito o rendite, che però non dipendano dalla benevolenza di alcuno ma che dipendano solamente da noi stesse. Avere quindi un lavoro è fondamentale e qui dobbiamo, lo sappiamo bene, affrontare il re dei pregiudizi del mondo femminile. Se vuoi essere una buona madre non devi lavorare perché devi dedicare completamente il tuo tempo ad accudire e crescere i tuoi figli.

Non lavorare o lavorare part time significa rinunciare alla nostra autonomia, all’autonomia di poter spendere, di investire il nostro denaro significa rimetterci non solo nel breve periodo, nel fatto di non avere un reddito subito, ma rimetterci anche dal punto di vista previdenziale, perché con l’ultima riforma delle pensioni, tra l’altro, le pensioni di reversibilità sono diventate penose. E la statistica demografica ci dice che 2/3 delle donne passeranno l’ultima parte della loro vita da sole, perché statisticamente è più facile che diventiamo noi vedove. So che sono rude in questa parte, però è importante capire che in generale significa anche avere a disposizione meno risorse per affrontare la nostra longevità.

Vi do qualche dato statistico. In Germania e in Inghilterra circa sette donne su dieci lavorano, in Francia 6/10. In Italia siamo appena a 5/10 e in alcune zone addirittura scendiamo sotto il 4/10. Ecco, oggi qui con me ho invitato una persona con la quale collaboro da tantissimo tempo. È un assistente virtuale e si chiama Elena Gioco.

Sì, buongiorno a tutti e buongiorno Elisa, grazie per avermi invitata qui.

Ciao Elena, grazie per la tua partecipazione. Ma mi sembrava proprio il contesto adatto per presentare un po’ quella che è la tua esperienza degli ultimi anni proprio in merito alla capacità di conciliare famiglia e lavoro. Cosa ne pensi dei numeri che ho appena dato sulle donne che lavorano in Italia?

Sono numeri che impressionano per certi versi. Però effettivamente questa è la realtà che mi sento anche di confermare, anche da un punto di vista personale.

Quali sono le difficoltà maggiori che in Italia secondo te una donna con figli trova nel mondo del lavoro?

Guarda, secondo me ci sono due aspetti, mi sento di evidenziare. Uno è la difficoltà dal punto di vista del supporto nel lavoro di cura, nel senso che ci si aspetta che la mamma segua, sappia la situazione, abbia la situazione in pugno perfettamente e allo stesso tempo magari porti avanti anche una professione a tempo pieno e uno o l’altro veramente diventa difficile. Poi c’è l’altro aspetto che secondo me non è neanche meno importante e che è vista da un punto di vista di genere. Sembra che sia tutto compito della mamma tante volte, e anche questo andrebbe ripensato.

Anche i congedi parentali fanno la loro in questo in questo ambito. Perché se è vero che una donna nel momento in cui ha figli viene in qualche maniera segregata, la sua carriera viene bloccata.

C’è proprio un lavoro di grande cultura da fare. Elena, hai voglia di raccontarci un po’ qual è la tua esperienza, cosa ti è successo e come hai superato questo, questo scoglio di conciliazione tra la tua vita di mamma e di moglie e la tua professione?

Ho lavorato per molti anni nel corporate, ero in una grossa azienda multinazionale, nell’Ufficio commerciale con lavoro dipendente full time. Dopo di che sono diventata mamma. E dopo la maternità, questo sei anni fa, nel momento in cui dovevo rientrare a lavoro, avevo le esigenze di una mamma con un bimbo piccolo, in termini anche di orari e di gestione della famiglia. E da lì ho deciso di lasciare il lavoro.

 Per un po’ ho ragionato sul da farsi, ma soprattutto in quel piccolo periodo senza lavoro in cui ero rimasta a casa, mi sono resa conto che proprio non era la mia situazione ideale, non solo per l’aspetto economico, ma anche proprio da un punto di vista mentale, il lavoro di cura non mi dava quelle realizzazione e soddisfazione di cui avevo bisogno.

Quindi dopo questo breve periodo di consapevolezza e ho cominciato a pensare come potevo far evolvere la situazione e mi sono imbattuta in alcuni articoli che parlavano di questa professione, quella dell’assistenza virtuale. Parliamo di quasi cinque anni fa, per cui era ancora abbastanza, non dico sconosciuta. Però ce n’erano ancora poche che avevano iniziato a farlo. E da lì, con il mio bagaglio di esperienza, l’ufficio da cui provenivano e tutto quello che avevo imparato, sembrava proprio una cosa fattibile e anche interessante.

Che cos’è e che cosa fa l’assistente virtuale?

Io supporto altre libere professioniste nei lavori, nelle attività d’ufficio o del back office o molto sul lavoro online. Quindi blog, social, newsletter, podcast. Mi occupo un po’ di dare supporto su attività che sono al di fuori, magari di quello che è l’attività principale di una professionista, ma attività che comunque devono essere svolte. Lo faccio a distanza e lo faccio in modo indipendente, quindi con partita Iva in autonomia.

Bene e bene. Elena, ti ringrazio per la tua testimonianza. Ti ringrazio anche per il contributo che stai dando al progetto di Nata Libera.

Chiudo questa puntata con un appello: piuttosto che rinunciare alla vostra autonomia finanziaria, datevi il permesso di essere donne imperfette, mamme imperfette, mogli o compagne imperfette, lavoratrici imperfette.